Introduzione di Riccardo Reim
Le undicimila verghe, scriveva Louis Aragon, non è un libro erotico, è un gioco: «È un libro in cui tutta l’abilità di Apollinaire e la sua conoscenza di una certa volgarità conturbante vengono alla luce a spese della sincerità e della vita. Ma è forse il libro di Apollinaire in cui l’humor si mostra con maggiore purezza».
Nella trama (se di trama si può parlare) galleggiano tutte le immagini e le situazioni tipiche della tradizione del feuilleton, dei romanzi sentimentali di infimo gusto e degli opuscoli erotici d’accatto, immancabilmente ambientati tra grandi alberghi di frontiera, vagoni ferroviari di prima classe e transatlantici di lusso in cui si muovono enigmatiche avventuriere e nobili dall’irresistibile fascino slavo…
Una farsa forsennata (fin dal titolo grottesco-carnevalesco) che irride e prende le distanze sia dall’amore che dall’erotismo. Echi di Sade? Sì, ma in una sontuosa, saporitissima salsa alla Rabelais.