NOI, ELEMENTARI INCONSAPEVOLI WATSON
Un autore bestseller di gialli storici, che ora pubblica un nuovo romanzo, spiega perché la presenza di un discepolo a fianco dell'eroe piace tanto ai lettori. Lo dimostra il caso Sherlock Holmes. Ma non solo.
Di Marcello Simoni
La Repubblica
Chi sarebbe Sherlock Holmes se, a spalleggiarlo, non ci fosse il dottor Watson? Ma soprattutto: se non fosse stato per Watson, saremmo mai venuti a conoscenza delle gesta (e dell'esistenza) di Sherlock Holmes? Non si tratta di mera retorica. A differenza del celebre Eugène-François Vidocq, che scrisse di persona le sue Mémories di ex criminale e poi di agente della Sûreté parigina, il signor Holmes resta ben muto riguardo le proprie imprese. È il suo assistente e unico amico a recarne fedele testimonianza. Un'attività indefessa, quasi pedissequa, al punto da farci domandare cosa possa aver spinto un ex ufficiale medico dell'esercito britannico, gentiluomo vittoriano tutto d'un pezzo, a spendere tanto impegno ed energie per improvvisarsi narratore della vita di un altro uomo. La risposta è evidente. Watson non è un semplice foil, un banale compagno di avventure, bensì un individuo intellettualmente autonomo affascinato dal metodo deduttivo di Sherlock Holmes, e in quanto tale consapevolmente disposto a impostare un rapporto di discepolo/maestro con il detective. Un rapporto dal quale, a ben vedere, lo stesso Holmes trae dei benefìci. Pensiamo infatti a II mastino dei Baskerville. L'apertura del primo capitolo vede i due coinquilini di Baker Street alle prese con un bastone da passeggio dimenticato nel loro studio da un visitatore. «Allora, Watson! Che idea si è fatto?», domanda Holmes, coinvolgendo il buon dottore in un denso dibattito che, se da un lato serve a mettere alla prova la sua capacità di ragionamento, dall'altro consente a Sherlock di sfruttarne le ingenuità per costruire una brillante tesi deduttiva. Un gioco assai frustrante, per il povero Watson! Un gioco al quale non è estraneo neppure il giovane Adso de II nome della rosa. Il rapporto tra il novizio benedettino e fra' Guglielmo da Baskerville poggia infatti su un legame molto simile. Un legame tra discipulus e magister basato su un confronto/scontro dialettico che consente al primo di progredire nell'apprendimento della scienza dell'indagine al prezzo di soddisfare il narcisismo intellettuale del secondo.
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28/10/2024