VI FARÒ SOGNARE A CACCIA DI TESORI COME SANDOKAN
IL MESSAGGERO
Il re dei thriller storici, un milione e mezzo di copie vendute, parla del suo nuovo romanzo che esce oggi, "Il profanatore di tesori perduti": «Siamo in Egitto al tempo delle Crociate»
Riccardo De Palo
L'intervista a Marcello Simoni
«I film di Indiana Jones hanno ispirato moltissimo la mia narrativa. Bisogna divertire, ma anche suscitare la riflessione. Il complimento migliore che possano farmi i lettori è confessare di avere preso in mano un saggio di Jacques Le Goff o Michel Pastoureau, per approfondire». A parlare è Marcello Simoni, 47enne re italiano del thriller storico: un milione e mezzo di copie vendute, dal primo II mercante di libri maledetti (premio Bancarella) alle ultime saghe bestseller, con traduzioni in venti Paesi. Da oggi, Simoni toma in libreria con II profanatore di tesori perduti, che ci scaraventa nell'Egitto del 1249.
Un romanzo storico pieno di avventura, ambientato al tempo delle Crociate, con un tesoro in palio e un enigma da risolvere per arrivarci. Pensava più a Salgari o a Wilbur Smith? O alle Mille e una notte?
«A tutti e tre, effettivamente. Le Mille e una notte è un'ispirazione che risale alle mie letture giovanili. Tra l'altro si mescola con i tanti film sul tema che venivano girati a Hollywood sin dagli anni Venti, come II ladro di Bagdad, pellicole che si andavano ad aggiungere ai Sandokan di Salgari».
E immagino anche ai Predatori dell'arca perduta, è così?
«Assolutamente sì. Dico sempre a tutti i miei editori, quando si lavora alla copertina del romanzo: "Deve ricordare una locandina di Indiana Jones". Andrò a vedere il quinto film, ma secondo me la saga si doveva fermare al terzo capitolo».
Parliamo del suo personaggio principale, Sufrah. Quali sono le sue qualità principali?
«È un viaggiatore, un cacciatore di tesori, un abilissimo mentitore. Assomiglia un po' a Long John Silver (il pirata dell'Isola del tesoro, ndr). Fino alla fine non sappiamo se è interamente buono, o se è malvagio. Ma Sufrah possiede anche una conoscenza che sconfina nei riti pagani, nel zoroastrismo. Lui è un geomante...»
Vale a dire?
«Si tratta di una pratica divinatoria che veniva utilizzata in Medio Oriente, soprattutto a Baghdad, proprio mentre i soldati cristiani cercavano di occupare Gerusalemme, la Siria e l'Egitto: si prediva il futuro leggendo i segni della sabbia, cercando determinati simboli astrali».
Lei fa di Fibonacci uno dei protagonisti di questo libro. Come mai ha scelto proprio il celebre matematico pisano?
«Mi dava fastidio che finora ne avesse scritto solo Dan Brown nel Codice da Vinci (ride, ndr). È stato lui a portare in Occidente i numeri arabi, (che lui chiamava "indiani"), ha introdotto il concetto di numero zero. Ma era anche figlio di un doganiere e mercante, e conosceva una parte del mondo preclusa alla maggior parte dei cristiani della sua epoca. Inserire Fibonacci in questa storia mi è parso naturale».
Lei è stato archeologo e bibliotecario, ha una laurea in lettere.
Sì, ho un curriculum che sembra fatto apposta per scrivere thriller storici. Già prima della laurea, avevo partecipato a qualche campagna di scavo, avevo catalogato dei materiali di età etrusca, poi ho lavorato in vari scavi nella mia zona, di epoche medievale e rinascimentale. E poi per circa dieci anni ho lavorato in molte biblioteche, in maggioranza ecclesiastiche, e così si è alimentato il mio amore per i libri, soprattutto per quelli antichi e rari».
Come si è documentato per scrivere questo romanzo?
«Cerco di scrivere storie che scivolino via, che siano molto agili, avventurose, nello stile dei romanzi di Patterson, ma ho bisogno di fondamenta molto solide. Per i viaggi nel deserto, ho ripercorso i racconti di Piero Della Valle, grande esploratore tra Cinquecento e Seicento; e poi tanti trattati esoterici e di magia, perché questo libro riguarda anche la leggenda dei jinn ("genio" o "diavolo" nel mondo arabo, ndr). Il libro delle perle segrete, che risale al 1300-1400 e di cui esiste solo la traduzione francese, descrive tutte queste oasi mediorientali, in cui si celavano pozzi, tesori, tombe. Ognuna di esse era custodita da un jinn, e c'erano anche le formule magiche per tenerli buoni».
Perché ha scelto di restare a Comacchio?
«È un luogo pieno di suggestioni, di enorme bellezza, ideale per scrivere, in cui io e mia moglie abbiamo deciso di restare. Viaggio parecchio per le presentazioni e, spesso, ne approfitto per conoscere tante realtà geografiche che poi finiscono nei miei romanzi. Ma sono un po' come Salgari: anche se amava farsi chiamare capitano, navigava molto poco, preferiva navigare attraverso i libri».
27/06/2023